Ostriche, ora è un business italiano

Articolo estratto dal corriere della sera del 18/01/2018

Produttori e ristoratori segnalano un consumo in crescita e un mercato in esplosione

Se fino a qualche anno fa il consumo di ostriche in Italia era riservato a un circolo ristretto, esplorazione di una nicchia di gastronauti affascinati dal sapore del crudo in tempi non sospetti, adesso si può, invece, affermare che si tratta di un cibo molto diffuso. E che ha perso, negli anni, il bollino sociale di “roba da ricchi”. Il merito? Il ruolo fondamentale degli allevatori e dei ristoratori italiani che si sono impegnati a farne un prodotto di eccellenza, sensibilizzando il grande pubblico alla loro cultura. Fino a farci diventare il secondo mercato in Europa per il consumo di ostriche, dopo la Francia. «Per costruire questo successo – osserva l’allevatore Armando Semigira – ha giocato un ruolo fondamentale anche l’avvento di Expo, che ha acceso di fatto i riflettori sul tema del food di qualità. L’Italia, tuttavia, è un grandissimo produttore dal punto di vista qualitativo, ma non quantitativo, con una produzione sull’ordine della decina di tonnellate, contro le oltre 120mila francesi. Bisogna, però, fare una distinzione tra i produttori di ostriche allevate interamente in Italia e gli “pseudoproduttori” che le comprano all’estero già abbastanza cresciute per impiantarle poi in vasche italiane. I veri produttori, infatti, si trovano principalmente a San Teodoro (nella provincia di Sassari) e nella Laguna di Scartovari (nel delta del Po), in cui, tra l’altro, una selezione francese realizzata su territorio italiano dà vita a ostriche riconosciute tra le migliori al mondo». Allevamenti di grande prestigio, ma anche piccole produzioni di eccellenza come, per esempio, quella inaugurata nel 2013 nel Golfo dei Poeti di Spezia, in cui la cooperativa dei miticoltori spezzini ha ricominciato ad allevare le ostriche dopo 120 anni dalla loro prima apparizione. «Al Sud – afferma Semigira – il consumo è sicuramente più vasto (la Puglia è la regione dove si registrano quelli più elevati), probabilmente perchè si è abituati a mangiare molto pesce. Si tratta, però, di ostriche più popolari, al contrario di quanto avviene nelle città più internazionali, come Milano, Roma, Napoli e Venezia, dove il consumo diminuisce in termini di quantità a favore di una ricerca della qualità più elevata. In più, in queste città cambia non solo la tipologia di consumatore, più colto e consapevole, ma anche l’offerta degli esercenti che sono chiamati a soddisfare palati spesso internazionali». Molto definito, secondo Semigira, anche il consumatore tipico nel 2017. «Oggi – spiega l’allevatore – il consumatore di ostriche si trova soprattutto tra i 35 e i 55 anni, con un picco tra i 40 e i 45. Anche se, ad apprezzare il sapore dell’ostrica sono soprattutto gli uomini mentre le donne sono più drastiche: o le amano o le odiano». Dello stesso avviso, anche Edi Beqja, manager del ristorante Pier52, tra i nuovi templi milanesi dedicati alle ostriche. «Milano – spiega il ristoratore – è stata una della rpime città ad accogliere questo pregiato frutto di mare, ma sono ancora pochi i ristoranti ad offrire veramente alta qualità e ricercatezza, nonostante i consumatori si stiano rivelando sempre più curiosi riguardo a questo alimento. Anche per questo, oltre a proporla cruda come entrèe e a fine frittura di pesce per esaltare il sapore del mare, possiamo anche realizzare dei primi piatti con la crema di ostriche o dei secondi con ostriche in tempura. La consuetudine dell’ostrica cotta, del resto, è soprattutto un retaggio francese, americano, cinese e giapponese, non italiano». Apprezzato, in primo luogo, dalla fetta sempre più grande dei cosiddetti “consumatori consapevoli”. «Quello che si ricerca – precisa Beqja – è un prodotto carnoso, complesso, dal gusto tendente al dolce. In più, gli aspetti da considerare sono molti: in primis, la mano dell’allevatore che guida e modella la crescita dell’ostrica per ottenere un frutto regolare, armonioso, dalle giuste dimensioni e proprietà. A fare la differenza, poi, anche il territorio in cui l’ostrica cresce, con le sue peculiarità ambientali, ma anche la densità di coltivazione, che ne condiziona inevitabilmente lo sviluppo, e le modalità di conservazione: cruciali trattandosi di un prodotto il cui consumo primario è quello dell’alimento ancora vivo».